Io voce per la Parola
fr. Maggiorino
Gv 1,6-8.19-28
Introduciamoci nel testo liturgico del vangelo proclamato nella III domenica di Avvento con i versetti che lo precedono:
Gv 1,1 In principio era il Verbo
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
2Egli era, in principio, presso Dio:
3tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
4In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
5la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l'hanno vinta.
Dopo averci fatto entrare nella intimità più profonda di Dio e aver esposto la dialettica luce-tenebre (vita-morte), improvvisamente accade un fatto: si presenta un uomo, descritto come un messaggero, un inviato. Si tratta di Giovanni Battista, o meglio il Battezzatore. Fa impressione come la figura di Giovanni, nei suoi elementi, contrasti con quanto detto prima della Parola (Verbo). La Parola esisteva al principio / Giovanni comparve, venne; la Parola era presso Dio / Giovanni era inviato da lui; La Parola era Dio / Giovanni era un uomo; la Parola conteneva la vita-luce / Giovanni non era la luce. Eppure, per trasmettere il suo messaggio, Dio sceglie un uomo, senza altra qualificazione di popolo, o stato religioso. Un uomo che testimonierà la luce agli altri uomini.
La missione di Giovanni era quella di testimoniare la luce, ossia, consisteva nel destare il desiderio e la speranza della vita, preparando la possibilità di una vita pienamente umana. Questa attività destava i sospetti delle autorità giudaiche che lo guardavano con diffidenza e per questo inviano una sorta di commissione investigatrice a interrogarlo. L’interrogatorio inizia improvvisamente, senza formule di cortesia: «Tu chi sei?». La risposta di Giovanni è una triplice negazione: «Io non sono il Cristo… Elia… il profeta».
A partire dal Cristo (in ebraico Messia), poi Elia e poi il profeta (aspettato come il nuovo Mosè che avrebbe rinnovato i prodigi dell’Esodo, cfr. Dt 18,15-18), erano tutte figure tanto attese dal popolo quanto temute dalle istituzioni per via del rovesciamento che avrebbero procurato nell’ordine delle cose. Le risposte per negazione di Giovanni lo conducono alla definizione di se togliendo le etichette che gli venivano attribuite e che avrebbero sicuramente accresciuto la sua gloria. Anzi, a ben guardare, Giovanni rinuncia anche a quello che avrebbe dovuto spettargli di diritto: le vesti sacerdotali come suo padre Zaccaria.
All’ulteriore domanda «Che cosa dici di te stesso?», la sua risposta è «voce di uno che grida nel deserto». Nel testo originale non è scritto «io sono voce…» ma «io voce…», perché l’Io sono nel vangelo di Giovanni è lasciato solamente a Gesù (Dio si presenta a Mosè con il nome di «Io sono»). Giovanni il Battista è Voce, Gesù è la Parola. È come se Giovanni si facesse, con la sua vita spogliata da altre immagini, “contenitore” della Parola, del Cristo che annuncia.
In conclusione, la testimonianza di Giovanni il Battista ci mostra che l’incontro pieno con Cristo avviene quando, spogli di ogni vera o falsa etichetta, ci incontriamo - nel deserto - con il nostro più autentico e profondo desiderio di lui. Non occorre fare ricorso a titoli o qualifiche particolari (tanto più se non sono vere). Quello che è necessario è lasciare riempire il nostro desiderio, che sale con un grido, dalla Parola che scaturisce dal Principio, la Parola che è Vita di Dio e vita nostra.
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