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Guardare a noi stessi seguendo l'esempio di San Francesco
Pensare a San Francesco come ad un rivoluzionario è facile:
- Francesco, giovane, ricco e borghese, avviato a carriera militare, con traguardo il cavalierato, dona tutto il suo corredo bellico ad un povero facendo a cambio con i suoi logori vestiti: Francesco no war, pacifista;
- Francesco, giovane, ricco e borghese, distribuisce tutti suoi averi ai poveri per vivere come loro e assieme a loro: Francesco no global, pauperista;
- Francesco, giovane, ex ricco e borghese, si reca nei lussuosi palazzi papali, affronta i ricchi e potenti cardinali e turba i sogni al Papa: Francesco, Cristo sì, Chiesa no, anticlericale.
E sono tante altre le immagini di Francesco d’Assisi che fanno sì che lo si ritragga come un contestatore sovversivo. In realtà Francesco lo abbiamo “tirato per la giacca” in tante maniere. Lo si è visto come uno spirito libero, precursore della Riforma protestante e delle rivoluzioni sociali, e si è creata allora la “questione francescana”; c’è chi riesce a vedere in Francesco restauratore, un controrivoluzionario, perché ripristina la struttura della Chiesa che rischia una rovinosa caduta (pensiamo al sogno di Papa Innocenzo III con “Francesco che sostiene la chiesa del Laterano”).
Francesco d’Assisi è stato certamente capace di compiere una rivoluzione ma non proprio come un rivoluzionario. Vediamo perché. Innanzitutto la sua azione non è mai stata di contrapposizione verso alcuno: non si è contrapposto alla Chiesa del suo tempo, né al sultano, né al frate che aveva peccato quanto era possibile peccare. Francesco viveva in un tempo dove era pressante il bisogno di un cambiamento (quindi, non è una novità) e ha saputo trovare l’innesco giusto per avviare una vera e propria trasformazione della società e della Chiesa, partendo da se stesso.
Che cosa ha innescato il cambiamento in Francesco? Già da tempo era alla ricerca di Dio e quindi anche di ciò che dà senso alla vita. Francesco, a seguito del fallimento delle sue ambizioni mondane, aveva inizialmente solo intuito un richiamo interiore a cercare Dio. Ma è dopo una di queste intuizioni che supplichevole giunge a chiedere: «Signore, che cosa vuoi che io faccia?». La risposta a quella domanda, che corrisponde al desiderio di tutti di trovare il bandolo della matassa della vita, Francesco d’Assisi la trovò solo in seguito ad un gesto clamoroso: l’abbraccio ad un lebbroso.
Se vogliamo credere all’esperienza di san Francesco dobbiamo comprendere che il cambiamento che desideriamo può avvenire solo se abbiamo - individualmente e tutti assieme - il coraggio di fare un passo avanti, se invece di erigere muri apriamo brecce.
L’abbraccio al lebbroso è quel gesto che rompe il cerchio che ci opprime quella mossa che ci fa uscire dalla quella spirale che ci inviluppa.
Il Signore parlò a Francesco e si diradarono le tenebre del suo cuore solo dopo che vinse se stesso compiendo quello che più lo ripugnava, abbracciare il lebbroso. È così che per lui si aprirono spazi
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Mt 21, 28-32
Nel tempio, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: Figlio, oggi va' a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Non ne ho voglia. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: Sì, signore. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».
Smascherati: questa volta non siamo stati noi a rivolgere domande a Gesù, come prima, a proposito della sua autorità, ma è lui che prende l’iniziativa raccontandoci la parabola dei due figli, l’ossequioso dalle parole che non corrispondono ai fatti, e quello che sembra infischiarsene ma che poi cambia e agisce come il padre vuole. Ci ha chiesto di giudicare i due comportamenti e ci siamo tirati la zappa sui piedi avallando quello del figlio pentito. Invece noi assomigliamo all’altro, che si professa obbediente, ma poi fa tutt’altro, presumendo di essere sempre nel giusto. Dobbiamo riconoscere che siamo degli ipocriti. Così nel corteo che si dirige verso il regno dei cieli siamo sorpassati da quelli che giudicavamo con disprezzo, gente perduta da cui stare alla larga. Eppure sono proprio essi che hanno accolto le parole di Giovanni e che la misericordia di Gesù ha fatto passare a nuova vita.
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Mt 23,1-12a
In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo:
«Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».
San Paolo ai Tessalonicesi (1 Ts 2,7-9)
Fratelli, siamo stati amorevoli in mezzo a voi, come una madre che ha cura dei propri figli. Così, affezionati a voi, avremmo desiderato trasmettervi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari. Voi ricordate infatti, fratelli, il nostro duro lavoro e la nostra fatica: lavorando notte e giorno per non essere di peso ad alcuno di voi, vi abbiamo annunciato il vangelo di Dio.
Mi conoscete come Paolo apostolo, ma ero anch’io un fariseo, e dei più zelanti! L’ho detto chiaramente nei miei discorsi e nelle mie lettere, ad esempio quella ai Filippesi: «Sono ebreo figlio di Ebrei; quanto alla Legge, fariseo; quanto allo zelo, persecutore della Chiesa; quanto alla giustizia che deriva dall'osservanza della Legge, irreprensibile. Ma queste cose, che per me erano guadagni, io le ho considerate una perdita a motivo di Cristo». Forse non mi sarei meritato il veemente rimprovero di Gesù, cioè di dire e di non fare, perché mi sforzavo veramente di praticare quello in cui credevo. Solo che il centro di tutto ero io, e guai a chi non vedevo agire secondo la legge: non ho forse perseguitato chi consideravo un eretico? Ma poi Gesù, l’unico maestro, mi ha fatto capire che stavo togliendo la vita agli altri, mentre invece, come egli ha fatto, dovevo donare la mia. Da allora sto imparando giorno per giorno ad essere padre generando fratelli con la parola del Vangelo, ad essere madre custodendo con il mio esempio la vita nuova dei credenti. Ma non chiamatemi padre o madre, altrimenti Gesù…