Il tempo di Avvento, che inizia con questa domenica, è considerato un “tempo liturgico forte” caratterizzato dal richiamo a vigilare e a prepararsi pregando e operando perché «il Signore viene». Potrebbe sorprendere che la Venuta non si riferisca al Natale (caso mai solamente gli ultimi giorni, la così detta novena nata in ambiente fortemente devozionistico). Infatti l’Avvento è un tempo indipendente, che solo successivamente fu accostato al Natale. In continuità con la fine dell’Anno liturgico precedente è questo un tempo di attesa della parusia, ossia della venuta ultima del Signore ma anche delle sue, così dette, venute intermedie. Un nome rivelatorio del Signore è «ho Erchómenos», «il Veniente», «Colui che viene», «Colui che si fa presente» sempre e in molti modi.
Il vangelo della I domenica di Avvento si trova a conclusione del discorso escatologico del testo di Marco (Mc 13,1-37) che riguarda la Venuta ultima del Signore. Inserito nella liturgia di questa domenica, diventa un esortazione insistente del Signore ad avere la ferma coscienza che di fronte alla sua Venuta i fedeli debbono vigilare con costanza e perseveranza, perché non conoscendo il giorno e l’ora potrebbero essere trovati “distratti”.
33Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento.
L’espressione «Fate attenzione» viene ripetuta quattro volte all’interno del discorso escatologico di Marco, questa è l’ultima ricorrenza e solo qui viene accostato a «vegliare», agrypneite (lett. scacciare il sonno). Quindi l’esortazione a fare attenzioneè nella direzione del vegliare, del restare svegli. L’idea del dover vegliare è contenuta anche al centro e al termine del brano evangelico (vv. 35.37). Possiamo dire che la cornice del testo è costituita da quest’unico appello: non dormire, ma anche e soprattutto essere vigili, svegli, pronti. Ormai c’è una sola cosa che conta veramente: egli viene. L’intensità del richiamo è motivata dal fatto che non si conosce il momento.
34È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare.
Al versetto 34 si trova la parabola propriamente detta. L’inizio è simile alle parabole dei talenti ascoltata due domeniche fa (cfr Mt 25,14-30 - XXXIII Domenica del Tempo Ordinario, anno A), ma esprime un concetto differente, quello di stare sempre in guardia, anziché quello di usare i propri talenti con profitto.
Il racconto dice che un uomo, prima di partire, ha dato un potere ai suoi servi per poi specificare un ordine particolare, quello di vegliare, ad un servo particolare, il portiere. È chiaro che l’uomo che se ne va è Gesù; la casa che lascia è la comunità; i servi sono i suoi discepoli, ognuno con il proprio compito nella comunità; il portiere ha chiaramente un ruolo più rilevante rispetto agli altri (cfr. Gv 10,3, «Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori»). Quindi il portiere ha un ruolo di leadership all’interno della comunità che deve esercitare vegliando e mantenendo sveglia l’attenzione di tutti per il ritorno del Signore. Nel testo, non è chiaro chi rappresenti la figura del portiere. Potrebbe essere Pietro? Oppure i quattro presi in disparte in 13,1 (Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea) per rivolgere loro questo discorso?
In ogni caso, alla fine del brano la raccomandazione viene estesa a tutti: «Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!» (v. 37). Allora il compito di vegliare è affidato a tutti noi. Rendendoci conto che come dobbiamo vigilare sulla nostra vita, dobbiamo anche vegliare sulla comunità che ci è affidata. A questo punto potremmo pensare, estendendo la comunità ai fratelli e sorelle tutti, a tutta l’umanità amata da Dio, ma ancora, alla sua creazione, che il compito del portiere affidato a tutti noi discepoli e discepole di Gesù è quello di destare il mondo. Un testo bellissimo, risalente al termine del II secolo d.C., la Lettera a Diogneto, presenta i cristiani come l’anima del mondo. Intendendo dire che i cristiani sono un elemento essenziale e vitale per la società e il mondo in generale. I discepoli di Gesù dovrebbero essere una forza positiva nella società, influenzando gli altri con la loro condotta, le loro azioni e la loro fede. Dovrebbero essere un punto di riferimento, diffondendo valori di altruismo, perdono e amore anche in mezzo alle difficoltà e alle persecuzioni. Ripetendo le parole di Gesù riportate da Matteo: i cristiani devono essere sale della terra e luce del mondo (Mt 5,13-16).
Questo discorso di Gesù ha origine da due domande dei discepoli preoccupati per la distruzione del Tempio e la fine del mondo (13,1-4). La risposta di Gesù introduce un terzo elemento: la venuta nella gloria del Figlio dell’uomo. Tutto il resto passerà in secondo piano. Ecco l’importanza di vegliare, di stare attenti. Di non disperdersi, non solo in distrazioni ma anche nelle paure che giungono anch’esse lungo la notte. È significativo che poco dopo questo invito accalorato a non addormentarsi nella notte, i discepoli saranno sorpresi, per ben due volte, addormentati nella veglia del Getsemani (14,37.40).
Noi non dovremmo dubitare del ritorno del padrone. Il Signore è già tornato, ha squarciato i cieli ed è sceso nella storia (cfr. Is 63,19). Noi sappiamo che ogni chiusura tra la nostra realtà e Dio è stata infranta. Il nostro mondo è ormai abitato dallo Spirito.
Essere vigilanti significa essere animati da una speranza certa, riconoscere tutto ciò che porta significazione di Dio.