Catechesi Quaresima 2024
Nel precedente incontro abbiamo fatto ri-echeggiare la consapevolezza di un desiderio insito nel cuore di ogni essere umano (San Paolo ci ricorda che la creazione stessa desidera, cfr. Rm 8, 19). Questa nostra “sete” si placa solo in Dio. Ogni volta che cerchiamo di dissetarci ad altre presunte sorgenti, oltre che a costarci molto in termini di energie spese, siamo distratti dalla vera soddisfazione.
Ricordare l’Alleanza
Una volta rivolti a Dio e messo in atto un cammino di conversione, non smettiamo mai il continuo discernimento per mantenerci nel desiderio di Dio, che chiamiamo Alleanza. Nel discernimento, uno “strumento” indispensabile - ma anche un luogo da abitare - è la preghiera. Credo che nella preghiera “ordinaria”, della maggior parte dei credenti, vi siano due domande fondamentali che vengono espresse e rivolte a Dio. La prima richiesta potremmo sintetizzarla così: “Signore, aiutami”. Aiutami a stare bene, aiutami ad affrontare gli ostacoli, aiutami superare questo esame… Ci rivolgiamo a Dio per chiedere sostegno e protezione, perché riconosciamo che lui può aiutarci; in certe situazioni, solo lui può farlo. La seconda tipica domanda è: “Signore cosa mi chiedi? Cosa mi (ci) stai dicendo in questa situazione?” Anche questa è una domanda lecita; ricordo, per esempio, come questa richiesta è messa sulle labbra del giovane Francesco d’Assisi quando, insistentemente, pregava dicendo: “Signore cosa vuoi che io faccia?” La tesi che mi propongo di avanzare, già ora, è che queste domande, seppure lecite, non sono le domande migliori, o comunque, non possono essere le domande definitive. La ricerca della volontà di Dio, titolo di questa catechesi, non è da intendersi come la richiesta di un suo intervento nella nostra vita. Piuttosto dobbiamo domandare come noi dobbiamo collocarci nella realtà che viviamo, aderendo al suo progetto d’amore.
Lo stesso Francesco, che all’inizio della sua conversione pregava chiedendo (lecitamente) che il Signore gli manifestasse la sua volontà, nella fase più matura della sua risposta alla vocazione arriva a una particolare consapevolezza che è espressa nel famoso racconto della vera e perfetta Letizia.
Lo stesso [fra Leonardo] riferì che un giorno il beato Francesco, presso Santa Maria [degli Angeli], chiamò frate Leone e gli disse: "Frate Leone, scrivi". Questi rispose: "Eccomi, sono pronto". "Scrivi - disse - quale è la vera letizia".
"Viene un messo e dice che tutti i maestri di Parigi sono entrati nell'Ordine, scrivi: non è vera letizia. Cosi pure che sono entrati nell'Ordine tutti i prelati d'Oltr'Alpe, arcivescovi e vescovi, non solo, ma perfino il Re di Francia e il Re d'lnghilterra; scrivi: non è vera letizia. E se ti giunge ancora notizia che i miei frati sono andati tra gli infedeli e li hanno convertiti tutti alla fede, oppure che io ho ricevuto da Dio tanta grazia da sanar gli infermi e da fare molti miracoli; ebbene io ti dico: in tutte queste cose non è la vera letizia".
"Ma quale è la vera letizia?".
"Ecco, io torno da Perugia e, a notte profonda, giungo qui, ed è un inverno fangoso e così rigido che, alI'estremità della tonaca, si formano dei ghiacciuoli d'acqua congelata, che mi percuotono continuamente le gambe fino a far uscire il sangue da siffatte ferite. E io tutto nel fango, nel freddo e nel ghiaccio, giungo alla porta e, dopo aver a lungo picchiato e chiamato, viene un frate e chiede: "Chi è?". Io rispondo: "Frate Francesco". E quegli dice: "Vattene, non è ora decente questa, di andare in giro, non entrerai". E poiché io insisto ancora, I'altro risponde: "Vattene, tu sei un semplice ed un idiota, qui non ci puoi venire ormai; noi siamo tanti e tali che non abbiamo bisogno di te". E io sempre resto davanti alla porta e dico: "Per amor di Dio, accoglietemi per questa notte". E quegli risponde: "Non lo farò. Vattene al luogo dei Crociferi e chiedi là".
Ebbene, se io avrò avuto pazienza e non mi sarò conturbato, io ti dico che qui è la vera letizia e qui è la vera virtù e la salvezza dell'anima". (Plet: FF 278)
Questo testo, dagli studiosi, è comunemente ormai riconosciuto tra i testi di Francesco (in particolare tra i testi dettati da Francesco ai confratelli). È collocato temporalmente tra il 1221 e il 1223. Dalle fonti biografiche sappiamo che in quel periodo, non mancarono momenti di tensione nella comunità, compresa una lunga ed estenuante tentazione di Francesco di abbandonare il progetto che Dio gli aveva messo in cuore. Anche se, forse, conoscitori di questo racconto, non possiamo non rimanere stupiti dal fatto che la vera e perfetta letizia non si raggiunge neppure con il dare grandi esempi di santità: fare miracoli, conoscere scienze, scritture e segreti delle cose e nemmeno convertire gli infedeli, ma accettare pazientemente – una volta giunti a Santa Maria degli Angeli – di non essere riconosciuti e di essere cacciati via in malo modo. «Perfetta letizia» è accettare la croce del Signore. Si tratta di un tema tipicamente francescano. Riporto altri due testi tratti dagli scritti di Francesco. Il primo tratto dalla quinta Ammonizione, il secondo dal capitolo decimo della Regola bollata.
Considera, o uomo, in quale sublime condizione ti ha posto il Signore Dio, poiché ti ha creato e formato a immagine del suo Figlio diletto secondo il corpo e a similitudine di lui secondo lo spirito.
E tutte le creature, che sono sotto il cielo, ciascuna secondo la propria natura, servono, conoscono e obbediscono al loro Creatore meglio di te. E neppure i demoni lo crocifissero, ma sei stato tu con essi a crocifiggerlo, e ancora lo crocifiggi quando ti diletti nei vizi e nei peccati. Di che cosa puoi dunque gloriarti?
Infatti se tu fossi tanto sottile e sapiente da possedere tutta la scienza e da saper interpretare tutte le lingue e acutamente perscrutare le cose celesti, in tutto questo non potesti gloriarti; poiché un solo demonio seppe delle realtà celesti e ora sa di quelle terrene più di tutti gli uomini insieme, quantunque sia esistito qualcuno che ricevette dal Signore una speciale cognizione della somma sapienza.
Ugualmente, se anche tu fossi il più bello e il più ricco di tutti, e se tu operassi cose mirabili, come scacciare i demoni, tutte queste cose ti sono di ostacolo e non sono di tua pertinenza, ed in esse non ti puoi gloriare per niente; ma in questo possiamo gloriarci, nelle nostre infermità e nel portare sulle spalle ogni giorno la santa croce del Signore nostro Gesù Cristo. (Amm V: FF 153-154).
…ma facciano attenzione che ciò che devono desiderare sopra ogni cosa è di avere lo Spirito del Signore e la sua santa operazione, di pregarlo sempre con cuore puro e di avere umiltà, pazienza nella persecuzione e nella infermità, e di amare quelli che ci perseguitano e ci riprendono e ci calunniano, poiché dice il Signore: "Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano e vi calunniano; beati quelli che sopportano persecuzione a causa della giustizia, poiché di essi è il regno dei cieli. E chi persevererà fino alla fine, questi sarà salvo". (Rb X, 8-12: FF 104).
Ancora riguardo la Letizia francescana, notiamo che nel testo di Francesco non è più usato il termine «perfetta» ma «vera letizia». In questo modo non si pone l’accento sulla qualità della gioia (nel medesimo racconto, inserito nei Fioretti, si usa «perfetta»), bensì all’autenticità: la gioia è «vera», autentica – dice Francesco – se attraverso l’esperienza del dolore, umiliazione, abbandono e rifiuto mi ritrovo confermato nella pazienza e nella non inquietudine; se non provo sentimenti di ostilità e vendetta per chi non mi accoglie pur avendomi riconosciuto perfettamente! E in questa dinamica sentirsi affini all’esperienza di Cristo stesso, povero, non accolto dai suoi:
Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati (Gv 1,11-13).
Seguire Gesù senza riserve
Ho citato prima l’esigenza di portare la propria croce. Mi sono appuntato questa espressione che esce direttamente dalla bocca di Gesù perché credo opportuno cercare di capire, finalmente, il senso di queste parole.
«Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua». (Mc 8,34)
Troppo spesso interpretiamo erroneamente queste parole, intendendo la croce con tutti gli aspetti problematici della nostra vita. Ma non può essere così, per il semplice fatto che se - malauguratamente - dovessimo decidere di non seguire più Gesù, nessuno e in nessun modo ci potrebbe garantire l’esenzione da altrettante difficoltà. E allora. La croce è seguire Gesù. Seguire Gesù è una questione di amore, e l’amore non è questione di opportunità.
«Il mercoledì della settimana santa meditavo sulla morte del Figlio di Dio che si è fatto uomo e mi sforzavo di scacciar via dalla mente ogni altro pensiero per avere l'anima tutta raccolta nella passione e nella morte del Figlio di Dio. E mentre me ne stavo così, all'improvviso udii una voce che mi disse: "Non ti ho amato per scherzo". Questa parola mi colpì come una ferita di dolore e subito gli occhi della mia anima si aprirono e compresi come erano vere quelle parole e vidi quanto aveva fatto il Figlio di Dio per manifestarmi il suo amore. Dall'altra parte vedevo che in me c'era tutto il contrario, poiché non lo amavo che per scherzo e con poca verità. E questa constatazione mi era diventata una pena mortale, così intollerabile che mi pareva di morire». (Angela da Foligno, Istr. XXIII, 5-22).
Quando il cammino si fa difficile
Eppure, forse non senza una certa sorpresa, ci accorgiamo che anche messi sulla via della conversione le cose non si fanno più facili. Avete presente quei, così detti, momenti difficili? Quando sembra che tutto vada male. Provate ad immaginare, in quei momenti, di osservare altri, che camminano per tutt’altre strade eppure sembra che le cose a costoro vadano (quasi) tutte bene. In situazioni così è facile che ci adiriamo o che nutriamo persino invidia. Quindi guardiamo il Salmo 37 che fu scritto da Davide, probabilmente da vecchio. Davide aveva passato delle prove estremamente difficili; quando era giovane, il re Saul aveva cercato di ucciderlo per vari anni, nonostante che Davide fosse stato sempre fedele a Saul. Anni più tardi, uno dei figli di Davide, Assalonne, insieme con alcuni uomini che prima erano stati fra quelli più vicini a Davide, aveva ordito una congiura contro Davide e questi dovette fuggire da Gerusalemme per salvarsi la vita. Perciò Davide aveva vissuto in prima persona le verità di cui scriveva. Guidato dallo Spirito Santo, Davide è autore del Salmo 37. Leggiamo i primi 9 versetti:
1 Di Davide.
Non irritarti a causa dei malvagi,
non invidiare i malfattori.
2 Come l'erba presto appassiranno;
come il verde del prato avvizziranno.
3 Confida nel Signore e fa' il bene:
abiterai la terra e vi pascolerai con sicurezza.
4 Cerca la gioia nel Signore:
esaudirà i desideri del tuo cuore.
5 Affida al Signore la tua via,
confida in lui ed egli agirà:
6 farà brillare come luce la tua giustizia,
il tuo diritto come il mezzogiorno.
7 Sta' in silenzio davanti al Signore e spera in lui;
non irritarti per chi ha successo,
per l'uomo che trama insidie.
8 Desisti dall'ira e deponi lo sdegno,
non irritarti: non ne verrebbe che male;
9 perché i malvagi saranno eliminati,
ma chi spera nel Signore avrà in eredità la terra.
Si tratta di un salmo didattico, il tono che assume è propriamente scolastico. Abbiamo a che fare con un discepolo che dev’essere accolto, aiutato, nella sua ricerca, nel suo cammino, nel suo discernimento, proprio in un momento in cui manifesta un animo agitato, turbato. C’è un conflitto interiore che lo disturba, è alle prese con l’esperienza della durezza delle cose di questo mondo, l’esperienza della violenza, della prepotenza, che sembrano essere prerogative consacrate dai costumi della nostra società umana a vantaggio di chi ne sa e ne vuole approfittare.
Dare spazio al Signore
«Non invidiare i malfattori» (cf. v. 1). Evidentemente (capita spesso così), assieme al disagio e al turbamento nei confronti dell’empietà si può insinuare una forma davvero preoccupante di invidia. Faresti del male anche tu, «non irritarti per chi ha successo, per l’uomo che trama insidie / Desisti dall’ira e deponi lo sdegno» (cf. vv. 7b- 8a), perché quella che possiamo intendere come gelosia – un’intransigente risentimento nei confronti dell’empietà con cui bisogna confrontarsi – è segnata da un inquinamento che nascostamente la impregna di quel sentimento di invidia che, in realtà, dimostra ancora una volta come l’empietà sia non un’entità alternativa con la quale combattere, ma sia una presenza emotiva, un’aspirazione segreta, che serpeggia nel nostro animo umano.
«Confida nel Signore» (cf. v. 3a). Questo imperativo «confida» ritorna nel v. 5. La confidenza è uno spazio che man mano deve allargarsi nell’animo umano. Confida perché siamo alla presenza del Signore, perché c’è un’altra iniziativa, c’è una presenza che non si tiene nascosta nella sua trascendenza celeste, ma esattamente cerca dimora nell’animo umano. Nell’animo umano che si consegna, che si arrende.
«Cerca la gioia nel Signore» (cf. v.4a) e vedete che qui, adesso, quella confidenza si confonde con la gioia? Quel vuoto assume una singolare intonazione festosa. I desideri del tuo cuore sono depositati là dov’è l’iniziativa del Signore, dov’è lui che avanza, lui che viene, è lui che dice la sua, è lui che opera secondo suoi criteri.
«Confida nel Signore e fa’ il bene; abita la terra e pascolerai con sicurezza» (cf. v. 3). «Abita la terra», Si parla della terra, stai al mondo. Stai al mondo, dunque, là dove il nostro vuoto interiore è abitato. Siamo in grado di abitare la terra, di stare al mondo, di prender dimora nelle cose, nel rapporto con tutto quello che avviene. E siamo in grado di vivere.
«E vi pascolerai con sicurezza». L’attività pastorale a cui accenna il verbo usato qui, comunque ha un significato che supera il senso della custodia di un gregge. È il lavoro, è una vita impegnata nelle cose pratiche, nelle urgenze che implicano il rapporto con l’ambiente, i tempi che si avvicendano, altre creature, animali o creature umane naturalmente.
«Manifesta al Signore la tua via». Il verbo ebraico גָּלַל (galal) è un verbo che ha a che fare con un movimento vorticoso, un avvolgimento. Renditi conto che la strada della tua vita si svolge alla maniera di un avvolgimento vitale, silenzioso, attorno a lui. Perché è la sua presenza che diventa dominante e determinante, il punto di riferimento decisivo.
25 Febbraio
Cerca la gioia nel Signore: esaudirà i desideri del tuo cuore (Sal 37, 4).
17 Marzo
Portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo (2Cor 4,10).