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C’è una buona notizia: Il Signore viene!

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  • Citazione: «Come la stella del mattino, che appare in mezzo alle nubi, con i raggi fulgentissimi della sua vita e della sua dottrina attrasse verso la luce coloro che giacevano nelI'ombra della morte; come l'arcobaleno, che brilla tra le nubi luminose, portando in se stesso il segno del patto con il Signore, annunziò agli uomini il vangelo della pace e della salvezza. Angelo della vera pace, anch'egli, a imitazione del Precursore, fu predestinato da Dio a preparargli la strada nel deserto della altissima povertà e a predicare la penitenza con l'esempio e con la parola» (LegM prologo,1: FF 1021).
  • PdD: Mc 1,1-8
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  • Giorno: II Domenica di Avvento (anno B)

Siamo alla II domenica di Avvento e la figura che il vangelo ci propone è quella di Giovanni Battista che troveremo anche domenica prossima. Leggiamo i primi otto versetti del vangelo di Marco, che inizia con il titolo dell’opera. La prima parola è «Inizio», in greco arché, la stessa parola con cui inizia la versione greca del libro della Genesi (in ebraico: בְּרֵאשִׁ֖ית - bereshìt). Significa che qui si inaugura una nuova storia, una nuova creazione. Significativo che questa nuova creazione avvenga con la proclamazione dellabuona e bella notizia (euangeliou) riguardante l’evento di Gesù, il Cristo, il Messia, il Figlio di Dio.

Dopo il titolo segue la citazione che Marco attribuisce al profeta Isaia. In realtà la prima è del profeta Malachia (Ml 3,1) mentre la seconda è di Isaia (Is 40,3). Probabilmente Marco ha attribuito tutto a Isaia perché è il profeta più noto

«Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via»: Malachia si esercita il suo ministero profetico nel periodo post esilico, nel periodo della restaurazione del Tempio. Il profeta denunzia la falsità e la trascuratezza dei sacerdoti e il comportamento della gente, che non vive secondo gli insegnamenti del Signore. Ma egli prospetta anche un avvenire assai più glorioso, quando il Signore stesso, preceduto da un suo messaggero, avrebbe dovuto manifestarsi nel nuovo tempio con tutta la sua gloria.

«Preparate la via del Signore»: La citazione di Isaia, per la precisione del così detto DeuteroIsaia (il profeta della consolazione) immaginava invece il ritorno degli esuli da Babilonia come un nuovo esodo, con il Signore a capo del corteo e un araldo che lo precede per invitare gli abitanti dei villaggi a rendere più agevole il sentiero su cui i rimpatriati dovranno passare, così come si faceva per l’arrivo di qualche ospite illustre. È importante ricordare che temi principali del vangelo di Marco è quello del camminare al seguito di Gesù, sulla sua via. Ed è interessante ricordare come negli Atti degli Apostoli i cristiani sono chiamati «appartenenti a questa Via» (At 9,2).

Al versetto 4, si introduce la figura di Giovanni Battista. Improvvisamente. La sua comparsa risponde alle antiche profezie. Questa concordanza è sorprendente. Per noi ora è evidente che Giovanni sia quel messaggero che le Scritture annunciavano, ma la scoperta di questa correlazione deve essere stata fatta da “profeti” all’interno della comunità. Secondo alcuni la domanda un po’ ironica che fa Gesù: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto?» (Mt 11,7) ha la funzione di costringere ad una riflessione sul ruolo di Giovanni. 

È importante che in ogni comunità cristiana ci sia un compito riservato ai profeti: interpretare la vita e la storia attuale alla luce delle Scritture.

L’atteggiamento di Giovanni Battista, il suo vestiario, la sua alimentazione, erano considerati “strani” anche per i suoi contemporanei, non solo per noi. Voleva intenzionalmente essere un segno vivente, un simbolo. L’asceta, non è tale per amor d’ascesi (come la povertà francescana non è per amore della povertà in sé stessa) ma per essere un segno: nel caso di Giovanni voler essere la personificazione del vero Israele che vive nel deserto e attende Colui che dovrà venire.

Io voce per la Parola

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  • Citazione: «E l'uomo di Dio, restandosene tutto solo e in pace, riempiva i boschi di gemiti, cospargeva la terra di lacrime, si percuoteva il petto e, quasi avesse trovato un più intimo santuario, discorreva col suo Signore. Là rispondeva al Giudice, là supplicava il Padre, là dialogava con l'Amico. Là pure, dai frati che piamente lo osservavano, fu udito interpellare con grida e gemiti la Bontà divina a favore dei peccatori; piangere, anche, ad alta voce la passione del Signore, come se l'avesse davanti agli occhi. Là, inoltre, come testimoniano prove sicure, gli venivano svelati i misteri nascosti della sapienza divina, che egli, però, non divulgava all'esterno, se non nella misura in cui ve lo sforzava la carità di Cristo e lo esigeva l'utilità del prossimo. Diceva, a questo proposito: «Può succedere che, per un lieve compenso, si perda un tesoro senza prezzo e che si provochi il Donatore a non dare più tanto facilmente una seconda volta». (LegM cap. 10,4: FF 1180).
  • PdD: Gv 1,6-8.19-28
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  • Giorno: III Domenica di Avvento (anno B)

Gv 1,6-8.19-28

Introduciamoci nel testo liturgico del vangelo proclamato nella III domenica di Avvento con i versetti che lo precedono:

 Gv 1,1 In principio era il Verbo
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
2Egli era, in principio, presso Dio:
3tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
4In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
5la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l'hanno vinta.

Dopo averci fatto entrare nella intimità più profonda di Dio e aver esposto la dialettica luce-tenebre (vita-morte), improvvisamente accade un fatto: si presenta un uomo, descritto come un messaggero, un inviato. Si tratta di Giovanni Battista, o meglio il Battezzatore. Fa impressione come la figura di Giovanni, nei suoi elementi, contrasti con quanto detto prima della Parola (Verbo). La Parola esisteva al principio / Giovanni comparve, venne; la Parola era presso Dio / Giovanni era inviato da lui; La Parola era Dio / Giovanni era un uomo; la Parola conteneva la vita-luce / Giovanni non era la luce. Eppure, per trasmettere il suo messaggio, Dio sceglie un uomo, senza altra qualificazione di popolo, o stato religioso. Un uomo che testimonierà la luce agli altri uomini.

La missione di Giovanni era quella di testimoniare la luce, ossia,  consisteva nel destare il desiderio e la speranza della vita, preparando la possibilità di una vita pienamente umana. Questa attività destava i sospetti delle autorità giudaiche che lo guardavano con diffidenza e per questo inviano una sorta di commissione investigatrice a interrogarlo. L’interrogatorio inizia improvvisamente, senza formule di cortesia: «Tu chi sei?». La risposta di Giovanni è una triplice negazione: «Io non sono il Cristo… Elia… il profeta».

A partire dal Cristo (in ebraico Messia), poi Elia e poi il profeta (aspettato come il nuovo Mosè che avrebbe rinnovato i prodigi dell’Esodo, cfr. Dt 18,15-18), erano tutte figure tanto attese dal popolo quanto temute dalle istituzioni per via del rovesciamento che avrebbero procurato nell’ordine delle cose. Le risposte per negazione di Giovanni lo conducono alla definizione di se togliendo le etichette che gli venivano attribuite e che avrebbero sicuramente accresciuto la sua gloria. Anzi, a ben guardare, Giovanni rinuncia anche a quello che avrebbe dovuto spettargli di diritto: le vesti sacerdotali come suo padre Zaccaria.

All’ulteriore domanda «Che cosa dici di te stesso?», la sua risposta è «voce di uno che grida nel deserto». Nel testo originale non è scritto «io sono voce…» ma «io voce…», perché l’Io sono nel vangelo di Giovanni è lasciato solamente a Gesù (Dio si presenta a Mosè con il nome di «Io sono»). Giovanni il Battista è Voce, Gesù è la Parola. È come se Giovanni si facesse, con la sua vita spogliata da altre immagini, “contenitore” della Parola, del Cristo che annuncia.

In conclusione, la testimonianza di Giovanni il Battista ci mostra che l’incontro pieno con Cristo avviene quando, spogli di ogni vera o falsa etichetta, ci incontriamo - nel deserto - con il nostro più autentico e profondo desiderio di lui. Non occorre fare ricorso a titoli o qualifiche particolari (tanto più se non sono vere). Quello che è necessario è lasciare riempire il nostro desiderio, che sale con un grido, dalla Parola che scaturisce dal Principio, la Parola che è Vita di Dio e vita nostra.

Non dubitare, Lui è qui

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  • Citazione: «E vogliate offrire al Signore tanto onore in mezzo al popolo a voi affidato, che ogni sera si annunci, mediante un banditore o qualche altro segno, che all’onnipotente Signore Iddio siano rese lodi e grazie da tutto il popolo» (Lrp 7: FF 213).
  • PdD: Mc 13,33-37
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  • Giorno: I Domenica di Avvento (anno B)

Il tempo di Avvento, che inizia con questa domenica, è considerato un “tempo liturgico forte” caratterizzato dal richiamo a vigilare e a prepararsi pregando e operando perché «il Signore viene». Potrebbe sorprendere che la  Venuta non si riferisca al Natale (caso mai solamente gli ultimi giorni, la così detta novena nata in ambiente fortemente devozionistico). Infatti l’Avvento è un tempo indipendente, che solo successivamente fu accostato al Natale. In continuità con la fine dell’Anno liturgico precedente è questo un tempo di attesa della parusia, ossia della venuta ultima del Signore ma anche delle sue, così dette, venute intermedie.  Un nome rivelatorio del Signore è «ho Erchómenos», «il Veniente», «Colui che viene», «Colui che si fa presente» sempre e in molti modi.

Il vangelo della I domenica di Avvento si trova a conclusione del discorso escatologico del testo di Marco (Mc 13,1-37) che riguarda la Venuta ultima del Signore. Inserito nella liturgia di questa domenica, diventa un esortazione insistente del Signore ad avere la ferma coscienza che di fronte alla sua Venuta i fedeli debbono vigilare con costanza e perseveranza, perché non conoscendo il giorno e l’ora potrebbero essere trovati “distratti”.

33Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento.

L’espressione «Fate attenzione» viene ripetuta quattro volte all’interno del discorso escatologico di Marco, questa è l’ultima ricorrenza e solo qui viene accostato a «vegliare», agrypneite (lett. scacciare il sonno). Quindi l’esortazione a fare attenzioneè nella direzione del vegliare, del restare svegli. L’idea del dover vegliare è contenuta anche al centro e al termine del brano evangelico (vv. 35.37). Possiamo dire che la cornice del testo è costituita da quest’unico appello: non dormire, ma anche e soprattutto essere vigili, svegli, pronti. Ormai c’è una sola cosa che conta veramente: egli viene. L’intensità del richiamo è motivata dal fatto che non si conosce il momento.

34È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare.

Al versetto 34 si trova la parabola propriamente detta. L’inizio è simile alle parabole dei talenti ascoltata due domeniche fa (cfr Mt 25,14-30 - XXXIII Domenica del Tempo Ordinario, anno A), ma esprime un concetto differente, quello di stare sempre in guardia, anziché quello di usare i propri talenti con profitto.

Il racconto dice che un uomo, prima di partire, ha dato un potere ai suoi servi per poi specificare un ordine particolare, quello di vegliare, ad un servo particolare, il portiere. È chiaro che l’uomo che se ne va è Gesù; la casa che lascia è la comunità; i servi sono i suoi discepoli, ognuno con il proprio compito nella comunità; il portiere ha chiaramente un ruolo più rilevante rispetto agli altri (cfr. Gv 10,3, «Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori»). Quindi il portiere ha un ruolo di leadership all’interno della comunità che deve esercitare vegliando e mantenendo sveglia l’attenzione di tutti per il ritorno del Signore. Nel testo, non è chiaro chi rappresenti la figura del portiere. Potrebbe essere Pietro? Oppure i quattro presi in disparte in 13,1 (Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea) per rivolgere loro questo discorso?

In ogni caso, alla fine del brano la raccomandazione viene estesa a tutti: «Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!» (v. 37). Allora il compito di vegliare è affidato a tutti noi. Rendendoci conto che come dobbiamo vigilare sulla nostra vita, dobbiamo anche vegliare sulla comunità che ci è affidata. A questo punto potremmo pensare, estendendo la comunità ai fratelli e sorelle tutti, a tutta l’umanità amata da Dio, ma ancora, alla sua creazione, che il compito del portiere  affidato a tutti noi discepoli e discepole di Gesù è quello di destare il mondo. Un testo bellissimo, risalente al termine del II secolo d.C., la  Lettera a Diogneto, presenta i cristiani come l’anima del mondo. Intendendo dire che i cristiani sono un elemento essenziale e vitale per la società e il mondo in generale. I discepoli di Gesù dovrebbero essere una forza positiva nella società, influenzando gli altri con la loro condotta, le loro azioni e la loro fede. Dovrebbero essere un punto di riferimento, diffondendo valori di altruismo, perdono e amore anche in mezzo alle difficoltà e alle persecuzioni. Ripetendo le parole di Gesù riportate da Matteo: i cristiani devono essere sale della terra e luce del mondo (Mt 5,13-16).

Questo discorso di Gesù ha origine da due domande dei discepoli preoccupati per la distruzione del Tempio e la fine del mondo (13,1-4). La risposta di Gesù introduce un terzo elemento: la venuta nella gloria del Figlio dell’uomo. Tutto il resto passerà in secondo piano. Ecco l’importanza di vegliare, di stare attenti. Di non disperdersi, non solo in distrazioni ma anche nelle paure che giungono anch’esse lungo la notte. È significativo che poco dopo questo invito accalorato a non addormentarsi nella notte, i discepoli saranno sorpresi, per ben due volte, addormentati nella veglia del Getsemani (14,37.40).

Noi non dovremmo dubitare del ritorno del padrone. Il Signore è già tornato, ha squarciato i cieli ed è sceso nella storia (cfr. Is 63,19). Noi sappiamo che ogni chiusura tra la nostra realtà e Dio è stata infranta. Il nostro mondo è ormai abitato dallo Spirito.

Essere vigilanti significa essere animati da una speranza certa, riconoscere tutto ciò che porta significazione di Dio