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La risposta alla chiamata alla santità

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Catechesi Quaresima 2024

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Michea

Il libro di Michea si presenta come una testimonianza preziosa della profezia biblica, offrendo uno sguardo penetrante sul contesto storico e religioso dell'antico Israele. Composto da sette capitoli, il libro si apre con i primi cinque capitoli attribuiti al profeta principale, Michea, e si conclude con i restanti due capitoli, che trasmettono la predicazione di un altro profeta anonimo, noto come Deutero-Michea.

Nella prima parte del libro, attribuita al proto-Michea, siamo introdotti al contesto storico e politico in cui si svolge la sua missione profetica. Egli vive nel regno di Giuda, durante il regno di Ezechia, e le sue profezie riflettono le tensioni sociali, politiche e spirituali che caratterizzano il periodo. Il suo ministero si svolge nel contesto turbolento segnato dall'espansione dell'impero assiro e dalla minaccia di deportazione e distruzione. Attraverso un linguaggio chiaro e incisivo, Michea mette in luce le contraddizioni e le corruzioni presenti nella società, sottolineando la necessità di un ritorno alla fedeltà a Dio e agli ideali dell'alleanza.

La seconda parte del libro, nota come Deutero-Michea, presenta un altro profeta che ha operato qualche tempo prima nelle regioni settentrionali, durante il declino del regno di Israele. Questo anonimo profeta, vissuto poco prima di Michea, opera tra il 720 e il 730 a.C., testimonia il tracollo imminente del regno settentrionale sotto il peso dell'espansione assira. Attraverso un genere letterario della disputa, tipico dei profeti, il Deutero-Michea convoca il popolo di Israele di fronte al tribunale divino, denunciando le loro infedeltà e le ingiustizie sociali. La sua voce risuona con urgenza e fermezza, avvertendo delle conseguenze disastrose che attendono coloro che si allontanano dai precetti divini.

In entrambe le parti del libro di Michea, emerge un richiamo alla giustizia, alla fedeltà e alla responsabilità di fronte a Dio. Questi profeti non si limitano a predire il futuro, ma cercano di influenzare attivamente il presente, invitando il popolo a un sincero ravvedimento e ad un rinnovato impegno verso la verità e la rettitudine. . Il loro messaggio, ancorato nell'antico Israele, offre spunti di riflessione su questioni morali e spirituali ancora rilevanti oggi.

Michea 6,1-8

1 Ascoltate dunque ciò che dice il Signore:
«Su, illustra la tua causa ai monti
e i colli ascoltino la tua voce!».
2Ascoltate, o monti, il processo del Signore,
o perenni fondamenta della terra,
perché il Signore è in causa con il suo popolo,
accusa Israele.
3«Popolo mio, che cosa ti ho fatto?
In che cosa ti ho stancato? Rispondimi.
4Forse perché ti ho fatto uscire dalla terra d'Egitto,
ti ho riscattato dalla condizione servile
e ho mandato davanti a te
Mosè, Aronne e Maria?
5Popolo mio, ricorda le trame
di Balak, re di Moab,
e quello che gli rispose
Balaam, figlio di Beor.
Ricòrdati di quello che è avvenuto
da Sittìm a Gàlgala,
per riconoscere
le vittorie del Signore».
6«Con che cosa mi presenterò al Signore,
mi prostrerò al Dio altissimo?
Mi presenterò a lui con olocausti,
con vitelli di un anno?
7Gradirà il Signore
migliaia di montoni
e torrenti di olio a miriadi?
Gli offrirò forse il mio primogenito
per la mia colpa,
il frutto delle mie viscere
per il mio peccato?».
8Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono
e ciò che richiede il Signore da te:
praticare la giustizia,
amare la bontà,
camminare umilmente con il tuo Dio.

La disputa

La disputa, un antico schema comunicativo e giuridico che permea le relazioni umane attraverso i secoli, trova un nuovo significato nel contesto della profezia biblica. Nel libro di Michea, questo genere letterario emerge come uno strumento fondamentale per interpretare il rapporto tra Dio e il suo popolo.

Il deutero-Michea, consapevole del precipizio imminente che minaccia il regno settentrionale di Israele, utilizza un linguaggio fortemente condizionato dalla disputa. Questo schema, tipico dei procedimenti giudiziari, si basa su un conflitto bilaterale finalizzato a risolvere le controversie e le situazioni di contestazione. Si delinea un quadro in cui due parti in disaccordo si confrontano pubblicamente, esponendo le loro ragioni di fronte agli spettatori che garantiscono il rispetto delle regole.

Nella prospettiva biblica, la disputa assume una dimensione divina. Il Signore interviene come parte offesa, richiamando il suo popolo a rendere conto delle sue infedeltà e ingiustizie. È un atto di rivendicazione da parte di Dio, che reclama il rispetto dell'alleanza e della storia d'amore instaurata con il suo popolo.

Il deutero-Michea si fa portavoce di questo messaggio accusatorio, convocando il popolo di Israele di fronte al tribunale divino. Attraverso la convocazione e la requisitoria, il profeta sviluppa un discorso di accusa contro le infedeltà del popolo, mettendo in discussione i fondamenti della loro relazione con Dio.

La disputa, dunque, non solo rivela le tensioni e le contraddizioni della società del tempo, ma invita anche a un profondo esame di coscienza e a un ritorno alla fedeltà e alla giustizia.

Il Signore è parte lesa

Il profeta invita a una disputa cosmica, convocando monti e colli affinché ascoltino la sua voce. Il Signore rivendica di essere in lite con il suo popolo, chiedendogli conto del suo comportamento. Lamenta che, nonostante i benefici concessi, il popolo abbia trasgredito l'impegno di amore stabilito. La contestazione del Signore, pur vigorosa, rivela un'affettuosa intenzione di ristabilire l'alleanza spezzata.

Nel nucleo essenziale dell'imputazione, emerge l'accusa: il popolo ha trascurato l'impegno di una relazione amorosa con il Signore, rinnegando i doni straordinari e seguendo vie autonome. Il linguaggio accorato, pur severo, testimonia l'importanza e la fermezza dell'amore divino, nonostante il rifiuto subito. Si osserva che, nonostante il tono vivace e incisivo della contestazione, il linguaggio utilizzato mantiene un'intonazione straordinariamente affettuosa. Quando si legge "popolo mio, che cosa ti ho fatto?", l'espressione "popolo mio" sintetizza tutta l'affettuosa relazione di alleanza che il Signore ha scelto di stabilire con il suo popolo. È come se il Signore dicesse: "Io sono il tuo Dio, tu sei il mio popolo; io sono qui per te, e tu sei qui per me". Questo linguaggio trasmette l'intensità massima della connessione emotiva.

Stupisce un poco che la nostra traduzione della Bibbia scriva al versetto 5:

 5Ricòrdati di quello che è avvenuto
da Sittìm a Gàlgala,
per riconoscere
le vittorie del Signore.

Nel testo ebraico non troviamo la parola vittorie  ma giustizie (צְדָקָה - tsᵉdâqâh). In questo caso, le giustizie del Signore è da intendersi come l’innocenza del Signore. Il Signore si presenta come innocente, in quanto è lui l’offeso. Dio si presenta non in quanto magistrato che deciderà chi ha ragione e chi torto e suddividerà colpe e condanne da una parte e benefici e benedizioni dall’altra: non è così. Dio si presenta in qualità di offeso, Lui è la parte lesa; si presenta in quanto è Lui che ha subito il danno; si presenta in quanto rivendica la sua innocenza nel contesto di una relazione d’amore, di una comunione di vita che è stata tradita. 

Il Signore vuole te, non le tue cose

6«Con che cosa mi presenterò al Signore,
mi prostrerò al Dio altissimo?

Leggiamo ora parole che riflettono il tumulto che agita la coscienza di chi è stato chiamato a questa Disputa. Il profeta riflette sulle possibili giustificazioni offerte dal popolo di fronte al Signore: 

mi prostrerò al Dio altissimo?
Mi presenterò a lui con olocausti,
con vitelli di un anno?
7Gradirà il Signore
migliaia di montoni
e torrenti di olio a miriadi?
Gli offrirò forse il mio primogenito
per la mia colpa,
il frutto delle mie viscere
per il mio peccato?

Addirittura, il primogenito, una pratica di culto presente nella tradizione cananea. Ma il Signore  richiama l'attenzione sulla pratica della giustizia, della pietà e dell'umiltà. Il Signore non desidera sacrifici materiali, ma piuttosto una relazione autentica e impegnata con il suo popolo.

8Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono
e ciò che richiede il Signore da te:
praticare la giustizia,
amare la bontà,
camminare umilmente con il tuo Dio.
  • 18 Febbraio

    Il richiamo alla conversione

    Cercate il Signore mentre si fa trovare (1Cor 13,5).

  • 25 Febbraio

    La ricerca della volontà di Dio I

    Cerca la gioia nel Signore: esaudirà i desideri del tuo cuore (Sal 37, 4).

  • 3 Marzo

    La ricerca della volontà di Dio II

    Mi lascerò trovare da voi (Ger 29,1-23).

  • 10 Marzo

    La risposta alla chiamata alla santità

    Ciò che chiede il Signore (Mi 6,8).

  • 17 Marzo

    Le stimmate di San Francesco e il mistero della croce

    Portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo (2Cor 4,10).

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La ricerca della volontà di Dio (II)

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Catechesi Quaresima 2024

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Il profetismo in Israele affonda le sue radici in un passato remoto. Il profeta è colui che Dio sceglie per trasmettere un messaggio al popolo, ai suoi dignitari e al re. Sebbene la profezia non sia un'istituzione esclusiva d'Israele, il profetismo biblico si distingue per la sua storicità e l'ampiezza dei temi trattati. Il profeta non solo annuncia, ma spiega ai suoi contemporanei il significato della storia del popolo, così come Dio la governa.

Il profeta Geremia, assieme ad Ezechiele e Isaia, è considerato tra i profeti maggiori, e come loro esercita il suo ministero profetico nel periodo più drammatico, ma al tempo stesso più istruttivo, per il popolo di Israele.

Geremia 29,1-14

1 Queste sono le parole della lettera che il profeta Geremia mandò da Gerusalemme al resto degli anziani in esilio, ai sacerdoti, ai profeti e a tutto il popolo che Nabucodònosor aveva deportato da Gerusalemme a Babilonia; 2la mandò dopo che il re Ieconia, la regina madre, i dignitari di corte, i capi di Giuda e di Gerusalemme, gli artigiani e i fabbri erano partiti da Gerusalemme. 3Fu recata per mezzo di Elasà, figlio di Safan, e di Ghemaria, figlio di Chelkia, che Sedecìa, re di Giuda, aveva inviati a Nabucodònosor, re di Babilonia, a Babilonia. Essa diceva:
4«Così dice il Signore degli eserciti, Dio d'Israele, a tutti gli esuli che ho fatto deportare da Gerusalemme a Babilonia: 5Costruite case e abitatele, piantate orti e mangiatene i frutti; 6prendete moglie e mettete al mondo figli e figlie, scegliete mogli per i figli e maritate le figlie, e costoro abbiano figlie e figli. Lì moltiplicatevi e non diminuite. 7Cercate il benessere del paese in cui vi ho fatto deportare, e pregate per esso il Signore, perché dal benessere suo dipende il vostro.
8Così dice il Signore degli eserciti, Dio d'Israele: Non vi traggano in errore i profeti che sono in mezzo a voi e i vostri indovini; non date retta ai sogni che essi sognano, 9perché falsamente profetizzano nel mio nome: io non li ho inviati. Oracolo del Signore. 10Pertanto così dice il Signore: Quando saranno compiuti a Babilonia settant'anni, vi visiterò e realizzerò la mia buona promessa di ricondurvi in questo luogo. 11Io conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo - oracolo del Signore -, progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza. 12Voi mi invocherete e ricorrerete a me e io vi esaudirò. 13Mi cercherete e mi troverete, perché mi cercherete con tutto il cuore; 14mi lascerò trovare da voi. Oracolo del Signore. Cambierò in meglio la vostra sorte e vi radunerò da tutte le nazioni e da tutti i luoghi dove vi ho disperso. Oracolo del Signore. Vi ricondurrò nel luogo da dove vi ho fatto deportare.

La situazione storica

Ci troviamo nell’anno 597 a. C., Gerusalemme è stata conquistata dai babilonesi e una parte del popolo di Giuda è deportata in esilio, tra loro ci sono il re Ieconia, la regina madre, funzionari di corte, artigiani e altri (2 Re 24, 8-17).  Le armate di Nabucodonosor, re di Babilonia sembrano invincibili, assorbendo una nazione dopo l’altra. Un secondo gruppo di esuli, ancora più grande, partirà per Babilonia undici anni più tardi, nel 586, dopo una rivolta che si concluderà nel brutale assedio di Gerusalemme e la distruzione del tempio, così come gran parte della città (2 Re 25, 1-21). A Gerusalemme, per volere del re babilonese è stato posto sul trono Sedecia, dopo essere stato sottoposto ad un giuramento di vassallaggio. Tuttavia, Sedecia si lasciò influenzare dalla politica dei piccoli regni occidentali che desideravano liberarsi dal dominio babilonese. Geremia non approvava questa politica e si rivolse al re, agli ambasciatori e ai sacerdoti, esortandoli a non alimentare facili illusioni e a non attizzare la ribellione, poiché ciò avrebbe portato a una violenta reazione da parte di Babilonia.

La lettera agli esiliati

Geremia raccomandò la sottomissione e l'accettazione del giogo del vassallaggio come unica via per la sopravvivenza, poiché nel piano di Dio era l'ora di Nabucodonosor e accettare il servizio al Signore significava anche accettare il vassallaggio verso Babilonia. L'esortazione di Geremia non si rivolgeva solo ai compatrioti, ma coinvolgeva anche i deportati dell'anno 597, affinché non si lasciassero sedurre da facili illusioni ma riconoscessero il dominio di Babilonia come parte del piano divino. Tra i deportati vi erano anche falsi profeti che alimentavano speranze di un ritorno imminente in patria, portando gli esuli a disinteressarsi dei valori della vita quotidiana. Geremia cercò di correggere questa mentalità, invitando gli esuli a integrarsi nella società babilonese e a costruire una vita stabile e prospera, riconoscendo il tempo e il luogo in cui si trovavano come parte del piano divino.

Il capitolo 29 del libro del profeta Geremia, è la lettera che, verosimilmente, fu inviata da una delegazione mandata a Babilonia.

Vivere bene in terra di esilio

Geremia non invita il popolo a chiudersi in un'attitudine di nostalgia e passività. Al contrario, li incoraggia a costruire case, piantare orti, sposarsi e avere figli. È un invito a vivere responsabilmente nella terra straniera, integrandosi nella società e contribuendo al suo benessere.

5Costruite case e abitatele, piantate orti e mangiatene i frutti; 6prendete moglie e mettete al mondo figli e figlie, scegliete mogli per i figli e maritate le figlie, e costoro abbiano figlie e figli. Lì moltiplicatevi e non diminuite. 7Cercate il benessere del paese in cui vi ho fatto deportare, e pregate per esso il Signore, perché dal benessere suo dipende il vostro.

Possiamo ben immaginare l’espressione stupita degli esuli quando la lettera viene letta loro ad alta voce. Secondo Geremia, non solo Dio ha detto loro che devono accettare di vivere tra i loro nemici, ma dovevano anche cercare la prosperità di Babilonia e pregare per questo! Coloro che mantenevano la speranza di un futuro tra gli esuli pregavano certamente per Gerusalemme, non per Babilonia.

Non fatevi ingannare dai cosiddetti profeti che tra voi promettono un rapido ritorno a Gerusalemme, continua la lettera. Nessuna nazione straniera verrà ora in vostro soccorso. Non nutrite false speranze. Ci vorranno settant’anni prima che un ritorno sia possibile. Piuttosto che una previsione precisa, la cifra è probabilmente da intendersi come simbolica, perché il numero settanta è spesso menzionato nella Bibbia come la durata di una vita piena. Ciò significa che coloro che ritorneranno non saranno gli stessi che sono stati portati in cattività. Il ruolo degli esuli sarà quello di preparare un futuro per gli altri. Eppure, Dio parla al loro cuore e vuole rassicurarli circa le sue intenzioni: 

11Io conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo - oracolo del Signore -, progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di spranza.

Un nuovo incontro con Dio

L'esilio diventa un'occasione per conoscere Dio in modo nuovo. La fede si sposta dal tempio e da Gerusalemme alla presenza di Dio in ogni luogo.

Circa il ritorno a Gerusalemme non sarà, non potrà essere, un semplice ritorno al passato. Gli antichi valori religiosi, ai quali Israele dava molta importanza - come il tempio, Gerusalemme, la dinastia di Davide - non bastano più. Bisogna andare più in là. Il ritorno avverrà solo attraverso un cambiamento importante. Una lettura attenta del brano mostra, ci fa capire, da dove verrà il cambiamento. 

13Mi cercherete e mi troverete, perché mi cercherete con tutto il cuore; 14mi lascerò trovare da voi. Oracolo del Signore. Cambierò in meglio la vostra sorte

 Quello che conta è di offrire al Signore il proprio cuore, completamente. È nella conversione del cuore che si può ritrovare il Signore: non è sufficiente la circoncisione della carne, occorre la circoncisione del cuore (9, 24-25). Dio non è prigioniero di un territorio, di una struttura, di una pratica religiosa. Lo si può trovare dovunque, a condizione però che si scenda nel profondo del proprio cuore. La conversione di cui parla Geremia non è una semplice sottomissione esteriore alle esigenze di Dio. Non è neppure, semplicemente, un'adesione sincera a una dottrina e a delle pratiche puntualmente compiute. È una trasformazione profonda, di tutto il proprio essere: un donarsi al Signore senza riserve.

Il nuovo futuro di speranza sarà quello reso possibile da un cuore nuovo e indiviso (cfr. 24,5-7). Per tutta la vita, Geremia aveva visto da vicino fino a che punto degli inviti a seguire la volontà di Dio fossero inadeguati. 

23Lo so, Signore: l'uomo non è padrone della sua via, chi cammina non è in grado di dirigere i suoi passi. (Ger 10,23)

Dio stesso dovrà cambiare i nostri cuori. Nel capitolo 31, versetti 31-34, Geremia parla di una “nuova alleanza”, un tempo in cui il popolo sarà in grado di compiere la volontà di Dio, perché sarà scritta direttamente sul cuore.

31Ecco, verranno giorni - oracolo del Signore -, nei quali con la casa d'Israele e con la casa di Giuda concluderò un'alleanza nuova. 32Non sarà come l'alleanza che ho concluso con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dalla terra d'Egitto, alleanza che essi hanno infranto, benché io fossi loro Signore. Oracolo del Signore. 33Questa sarà l'alleanza che concluderò con la casa d'Israele dopo quei giorni - oracolo del Signore -: porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. 34Non dovranno più istruirsi l'un l'altro, dicendo: «Conoscete il Signore», perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande - oracolo del Signore -, poiché io perdonerò la loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato». (Ger 31,31-34)

Geremia sa molto bene che questa conversione del cuore è impossibile all'uomo. E per questo è un miracolo che solo Dio può compiere:

«Guariscimi, Signore, e guarirò, salvami e sarò salvato, poiché tu sei il mio vanto». (Ger 17, 14)

È un miracolo che si può sperare, perché non si tratta, questa volta, di sperare che Dio salvi - sia pure in extremis – il tempio e la nazione, e che tutto continui come prima. È il contrario: è l'uomo che si vuole lasciarsi modellare da Dio e accetta di essere condotto dovunque il Signore voglia.

Coloro che accettano di convertirsi possono guardare al futuro con speranza:

«Darò loro un cuore capace di conoscermi, perché io sono il Signore; essi saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio, se ritorneranno a me con tutto il cuore». (Ger 24, 7; cf 33 , 14-16)
«Ecco, io sono il Signore, Dio di ogni essere vivente; c'è forse qualcosa di impossibile per me?» (Ger 32, 27)

Cinque secoli più tardi, i primi cristiani si ricorderanno questa visione quando, pieni di meraviglia, mediteranno sulla vita di Cristo e la nuova strada che apre davanti a loro.

  • 18 Febbraio

    Il richiamo alla conversione

    Cercate il Signore mentre si fa trovare (1Cor 13,5).

  • 25 Febbraio

    La ricerca della volontà di Dio I

    Cerca la gioia nel Signore: esaudirà i desideri del tuo cuore (Sal 37, 4).

  • 3 Marzo

    La ricerca della volontà di Dio II

    Mi lascerò trovare da voi (Ger 29,1-23).

  • 10 Marzo

    La risposta alla chiamata alla santità

    Ciò che chiede il Signore (Mi 6,8).

  • 17 Marzo

    Le stimmate di San Francesco e il mistero della croce

    Portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo (2Cor 4,10).

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La ricerca della volontà di Dio (I)

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Catechesi Quaresima 2024

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Nel precedente incontro abbiamo fatto ri-echeggiare la consapevolezza di un desiderio insito nel cuore di ogni essere umano (San Paolo ci ricorda che la creazione stessa desidera, cfr. Rm 8, 19). Questa nostra “sete” si placa solo in Dio. Ogni volta che cerchiamo di dissetarci ad altre presunte sorgenti, oltre che a costarci molto in termini di energie spese, siamo distratti dalla vera soddisfazione.

Ricordare l’Alleanza

Una volta rivolti a Dio e messo in atto un cammino di conversione, non smettiamo mai il continuo discernimento per mantenerci nel desiderio di Dio, che chiamiamo Alleanza. Nel discernimento, uno “strumento” indispensabile - ma anche un luogo da abitare - è la preghiera. Credo che nella preghiera “ordinaria”, della maggior parte dei credenti, vi siano due domande fondamentali che vengono espresse e rivolte a Dio. La prima richiesta potremmo sintetizzarla così: “Signore, aiutami”. Aiutami a stare bene, aiutami ad affrontare gli ostacoli, aiutami superare questo esame… Ci rivolgiamo a Dio per chiedere sostegno e protezione, perché riconosciamo che lui può aiutarci; in certe situazioni, solo lui può farlo. La seconda tipica domanda è: “Signore cosa mi chiedi? Cosa mi (ci) stai dicendo in questa situazione?” Anche questa è una domanda lecita; ricordo, per esempio, come questa richiesta è messa sulle labbra del giovane Francesco d’Assisi quando, insistentemente, pregava dicendo: “Signore cosa vuoi che io faccia?” La tesi che mi propongo di avanzare, già ora, è che queste domande, seppure lecite, non sono le domande migliori, o comunque, non possono essere le domande definitive. La ricerca della volontà di Dio, titolo di questa catechesi, non è da intendersi come la richiesta di un suo intervento nella nostra vita. Piuttosto dobbiamo domandare come noi dobbiamo collocarci nella realtà che viviamo, aderendo al suo progetto d’amore.

Lo stesso Francesco, che all’inizio della sua conversione pregava chiedendo (lecitamente) che il Signore gli manifestasse la sua volontà, nella fase più matura della sua risposta alla vocazione arriva a una particolare consapevolezza che è espressa nel famoso racconto della vera e perfetta Letizia.

Lo stesso [fra Leonardo] riferì che un giorno il beato Francesco, presso Santa Maria [degli Angeli], chiamò frate Leone e gli disse: "Frate Leone, scrivi". Questi rispose: "Eccomi, sono pronto". "Scrivi - disse - quale è la vera letizia".
"Viene un messo e dice che tutti i maestri di Parigi sono entrati nell'Ordine, scrivi: non è vera letizia. Cosi pure che sono entrati nell'Ordine tutti i prelati d'Oltr'Alpe, arcivescovi e vescovi, non solo, ma perfino il Re di Francia e il Re d'lnghilterra; scrivi: non è vera letizia. E se ti giunge ancora notizia che i miei frati sono andati tra gli infedeli e li hanno convertiti tutti alla fede, oppure che io ho ricevuto da Dio tanta grazia da sanar gli infermi e da fare molti miracoli; ebbene io ti dico: in tutte queste cose non è la vera letizia".
"Ma quale è la vera letizia?".
"Ecco, io torno da Perugia e, a notte profonda, giungo qui, ed è un inverno fangoso e così rigido che, alI'estremità della tonaca, si formano dei ghiacciuoli d'acqua congelata, che mi percuotono continuamente le gambe fino a far uscire il sangue da siffatte ferite. E io tutto nel fango, nel freddo e nel ghiaccio, giungo alla porta e, dopo aver a lungo picchiato e chiamato, viene un frate e chiede: "Chi è?". Io rispondo: "Frate Francesco". E quegli dice: "Vattene, non è ora decente questa, di andare in giro, non entrerai". E poiché io insisto ancora, I'altro risponde: "Vattene, tu sei un semplice ed un idiota, qui non ci puoi venire ormai; noi siamo tanti e tali che non abbiamo bisogno di te". E io sempre resto davanti alla porta e dico: "Per amor di Dio, accoglietemi per questa notte". E quegli risponde: "Non lo farò. Vattene al luogo dei Crociferi e chiedi là".
Ebbene, se io avrò avuto pazienza e non mi sarò conturbato, io ti dico che qui è la vera letizia e qui è la vera virtù e la salvezza dell'anima". (Plet: FF 278)

 

Questo testo, dagli studiosi, è comunemente  ormai riconosciuto tra i testi di Francesco (in particolare tra i testi dettati da Francesco ai confratelli). È collocato temporalmente tra il 1221 e il 1223. Dalle fonti biografiche sappiamo che in quel periodo, non mancarono momenti di tensione nella comunità, compresa una lunga ed estenuante tentazione di Francesco di abbandonare il progetto che Dio gli aveva messo in cuore. Anche se, forse, conoscitori di questo racconto, non possiamo non rimanere stupiti dal fatto che la vera e perfetta letizia non si raggiunge neppure con il dare grandi esempi di santità: fare miracoli, conoscere scienze, scritture e segreti delle cose e nemmeno convertire gli infedeli, ma accettare pazientemente – una volta giunti a Santa Maria degli Angeli – di non essere riconosciuti e di essere cacciati via in malo modo. «Perfetta letizia» è accettare la croce del Signore. Si tratta di un tema tipicamente francescano. Riporto altri due testi tratti dagli scritti di Francesco. Il primo tratto dalla quinta Ammonizione, il secondo dal capitolo decimo della Regola bollata.

Considera, o uomo, in quale sublime condizione ti ha posto il Signore Dio, poiché ti ha creato e formato a immagine del suo Figlio diletto secondo il corpo e a similitudine di lui secondo lo spirito.
E tutte le creature, che sono sotto il cielo, ciascuna secondo la propria natura, servono, conoscono e obbediscono al loro Creatore meglio di te. E neppure i demoni lo crocifissero, ma sei stato tu con essi a crocifiggerlo, e ancora lo crocifiggi quando ti diletti nei vizi e nei peccati. Di che cosa puoi dunque gloriarti?
 Infatti se tu fossi tanto sottile e sapiente da possedere tutta la scienza e da saper interpretare tutte le lingue e acutamente perscrutare le cose celesti, in tutto questo non potesti gloriarti; poiché un solo demonio seppe delle realtà celesti e ora sa di quelle terrene più di tutti gli uomini insieme, quantunque sia esistito qualcuno che ricevette dal Signore una speciale cognizione della somma sapienza.
Ugualmente, se anche tu fossi il più bello e il più ricco di tutti, e se tu operassi cose mirabili, come scacciare i demoni, tutte queste cose ti sono di ostacolo e non sono di tua pertinenza, ed in esse non ti puoi gloriare per niente; ma in questo possiamo gloriarci, nelle nostre infermità e nel portare sulle spalle ogni giorno la santa croce del Signore nostro Gesù Cristo. (Amm V: FF 153-154).
…ma facciano attenzione che ciò che devono desiderare sopra ogni cosa è di avere lo Spirito del Signore e la sua santa operazione, di pregarlo sempre con cuore puro e di avere umiltà, pazienza nella persecuzione e nella infermità, e di amare quelli che ci perseguitano e ci riprendono e ci calunniano, poiché dice il Signore: "Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano e vi calunniano; beati quelli che sopportano persecuzione a causa della giustizia, poiché di essi è il regno dei cieli. E chi persevererà fino alla fine, questi sarà salvo". (Rb X, 8-12: FF 104).

Ancora riguardo la Letizia francescana, notiamo che nel testo di Francesco non è più usato il termine «perfetta» ma «vera letizia». In questo modo non si pone l’accento sulla qualità della gioia (nel medesimo racconto, inserito nei Fioretti, si usa «perfetta»), bensì all’autenticità: la gioia è «vera», autentica – dice Francesco – se attraverso l’esperienza del dolore, umiliazione, abbandono e rifiuto mi ritrovo confermato nella pazienza e nella non inquietudine; se non provo sentimenti di ostilità e vendetta per chi non mi accoglie pur avendomi riconosciuto perfettamente! E in questa dinamica sentirsi affini all’esperienza di Cristo stesso, povero, non accolto dai suoi:

Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati (Gv 1,11-13).

Seguire Gesù senza riserve

Ho citato prima l’esigenza di portare la propria croce. Mi sono appuntato questa espressione che esce direttamente dalla bocca di Gesù perché credo opportuno cercare di capire, finalmente, il senso di queste parole. 

«Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua». (Mc 8,34)

Troppo spesso interpretiamo erroneamente queste parole, intendendo la croce con tutti gli aspetti problematici della nostra vita. Ma non può essere così, per il semplice fatto che se - malauguratamente - dovessimo decidere di non seguire più Gesù, nessuno e in nessun modo ci potrebbe garantire l’esenzione da altrettante difficoltà. E allora. La croce è seguire Gesù. Seguire Gesù è una questione di amore, e l’amore non è questione di opportunità. 

«Il mercoledì della settimana santa meditavo sulla morte del Figlio di Dio che si è fatto uomo e mi sforzavo di scacciar via dalla mente ogni altro pensiero per avere l'anima tutta raccolta nella passione e nella morte del Figlio di Dio. E mentre me ne stavo così, all'improvviso udii una voce che mi disse: "Non ti ho amato per scherzo". Questa parola mi colpì come una ferita di dolore e subito gli occhi della mia anima si aprirono e compresi come erano vere quelle parole e vidi quanto aveva fatto il Figlio di Dio per manifestarmi il suo amore. Dall'altra parte vedevo che in me c'era tutto il contrario, poiché non lo amavo che per scherzo e con poca verità. E questa constatazione mi era diventata una pena mortale, così intollerabile che mi pareva di morire». (Angela da Foligno, Istr. XXIII, 5-22).

Quando il cammino si fa difficile

Eppure, forse non senza una certa sorpresa, ci accorgiamo che anche messi sulla via della conversione le cose non si fanno più facili. Avete presente quei, così detti, momenti difficili? Quando sembra che tutto vada male. Provate ad immaginare, in quei momenti, di osservare altri, che camminano per tutt’altre strade eppure sembra che le cose a costoro vadano (quasi) tutte bene. In situazioni così è facile che ci adiriamo o che nutriamo persino invidia. Quindi guardiamo il Salmo 37 che fu scritto da Davide, probabilmente da vecchio. Davide aveva passato delle prove estremamente difficili; quando era giovane, il re Saul aveva cercato di ucciderlo per vari anni, nonostante che Davide fosse stato sempre fedele a Saul. Anni più tardi, uno dei figli di Davide, Assalonne, insieme con alcuni uomini che prima erano stati fra quelli più vicini a Davide, aveva ordito una congiura contro Davide e questi dovette fuggire da Gerusalemme per salvarsi la vita. Perciò Davide aveva vissuto in prima persona le verità di cui scriveva. Guidato dallo Spirito Santo, Davide è autore del Salmo 37. Leggiamo i primi 9 versetti:

1 Di Davide.
Non irritarti a causa dei malvagi,
non invidiare i malfattori.
2 Come l'erba presto appassiranno;
come il verde del prato avvizziranno.
3 Confida nel Signore e fa' il bene:
abiterai la terra e vi pascolerai con sicurezza.
4 Cerca la gioia nel Signore:
esaudirà i desideri del tuo cuore.
5 Affida al Signore la tua via,
confida in lui ed egli agirà:
6 farà brillare come luce la tua giustizia,
il tuo diritto come il mezzogiorno.
7 Sta' in silenzio davanti al Signore e spera in lui;
non irritarti per chi ha successo,
per l'uomo che trama insidie.
8 Desisti dall'ira e deponi lo sdegno,
non irritarti: non ne verrebbe che male;
9 perché i malvagi saranno eliminati,
ma chi spera nel Signore avrà in eredità la terra.

Si tratta di un salmo didattico, il tono che assume è propriamente scolastico. Abbiamo a che fare con un discepolo che dev’essere accolto, aiutato, nella sua ricerca, nel suo cammino, nel suo discernimento, proprio in un momento in cui manifesta un animo agitato, turbato. C’è un conflitto interiore che lo disturba, è alle prese con l’esperienza della durezza delle cose di questo mondo, l’esperienza della violenza, della prepotenza, che sembrano essere prerogative consacrate dai costumi della nostra società umana a vantaggio di chi ne sa e ne vuole approfittare.

Dare spazio al Signore

 «Non invidiare i malfattori» (cf. v. 1). Evidentemente (capita spesso così), assieme al disagio e al turbamento nei confronti dell’empietà si può insinuare una forma davvero preoccupante di invidia. Faresti del male anche tu, «non irritarti per chi ha successo, per l’uomo che trama insidie / Desisti dall’ira e deponi lo sdegno» (cf. vv. 7b- 8a), perché quella che possiamo intendere come gelosia – un’intransigente risentimento nei confronti dell’empietà con cui bisogna confrontarsi – è segnata da un inquinamento che nascostamente la impregna di quel sentimento di invidia che, in realtà, dimostra ancora una volta come l’empietà sia non un’entità alternativa con la quale combattere, ma sia una presenza emotiva, un’aspirazione segreta, che serpeggia nel nostro animo umano.

«Confida nel Signore» (cf. v. 3a). Questo imperativo «confida» ritorna nel v. 5. La confidenza è uno spazio che man mano deve allargarsi nell’animo umano. Confida perché siamo alla presenza del Signore, perché c’è un’altra iniziativa, c’è una presenza che non si tiene nascosta nella sua trascendenza celeste, ma esattamente cerca dimora nell’animo umano. Nell’animo umano che si consegna, che si arrende.

«Cerca la gioia nel Signore» (cf. v.4a) e vedete che qui, adesso, quella confidenza si confonde con la gioia? Quel vuoto assume una singolare intonazione festosa. I desideri del tuo cuore sono depositati là dov’è l’iniziativa del Signore, dov’è lui che avanza, lui che viene, è lui che dice la sua, è lui che opera secondo suoi criteri. 

«Confida nel Signore e fa’ il bene; abita la terra e pascolerai con sicurezza» (cf. v. 3). «Abita la terra», Si parla della terra, stai al mondo. Stai al mondo, dunque, là dove il nostro vuoto interiore è abitato. Siamo in grado di abitare la terra, di stare al mondo, di prender dimora nelle cose, nel rapporto con tutto quello che avviene. E siamo in grado di vivere. 

«E vi pascolerai con sicurezza». L’attività pastorale a cui accenna il verbo usato qui, comunque ha un significato che supera il senso della custodia di un gregge. È il lavoro, è una vita impegnata nelle cose pratiche, nelle urgenze che implicano il rapporto con l’ambiente, i tempi che si avvicendano, altre creature, animali o creature umane naturalmente. 

«Manifesta al Signore la tua via». Il verbo ebraico גָּלַל (galal) è un verbo che ha a che fare con un movimento vorticoso, un avvolgimento. Renditi conto che la strada della tua vita si svolge alla maniera di un avvolgimento vitale, silenzioso, attorno a lui. Perché è la sua presenza che diventa dominante e determinante, il punto di riferimento decisivo.

  • 18 Febbraio

    Il richiamo alla conversione

    Cercate il Signore mentre si fa trovare (1Cor 13,5).

  • 25 Febbraio

    La ricerca della volontà di Dio I

    Cerca la gioia nel Signore: esaudirà i desideri del tuo cuore (Sal 37, 4).

  • 3 Marzo

    La ricerca della volontà di Dio II

    Mi lascerò trovare da voi (Ger 29,1-23).

  • 10 Marzo

    La risposta alla chiamata alla santità

    Ciò che chiede il Signore (Mi 6,8).

  • 17 Marzo

    Le stimmate di San Francesco e il mistero della croce

    Portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo (2Cor 4,10).

Leggi tutto …La ricerca della volontà di Dio (I)

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Il richiamo alla conversione

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Catechesi Quaresima 2024

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Sappiamo bene che la Quaresima è un tempo di preparazione alla Pasqua; questo è corretto. Tuttavia, il carattere penitenziale di questi 40 giorni, a volte, ci fa dimenticare che il termine ultimo di questo cammino è la Risurrezione, e poi ancora il dono dello Spirito Santo che apre i nostri sensi alla realtà della risurrezione. Questo per ricordarci che: Quaresima è cammino di risurrezione, dalle tenebre alla luce. Questo è il cammino di ogni uomo.

Non dobbiamo pensare che le tenebre siano riferite, esclusivamente, a situazioni clamorose di chissà quali peccati. A volte e così. Il più delle volte, le tenebre sono situazioni ancora più insidiose perché apparentemente rischiarate da situazioni che diciamo… cosa vuoi che sia!... ma poi…

Quante volte, a quanti di noi, capita di arrivare a sera (che può essere una certa fase della vita) e sentire arrivare un dubbio sul senso delle cose, forse anche della propria vita.

«Chi può esserti più utile?»

È facile prendere come esempio Francesco di Assisi. Anche se un certo immaginario lo vuole vedere particolarmente scapestrato da giovane (un certo genere agiografico, invece lo vede già predisposto alla santità fin dalla nascita in una stalla), la sua vita prima di diventare frate Francesco non era poi così “cattiva”. Era un giovane benestante (non è un peccato), ambizioso (checché se ne dica non è neppure questo un peccato di per sé). Francesco aveva un sogno, diventare cavaliere. Per conquistare questo titolo doveva partecipare ad una battaglia e tornare vincitore. Francesco “bruciava” dal desiderio e per questo, munito di tutto il corredo necessario, parte in direzione di Perugia per partecipare alla battaglia. Da questa battaglia Francesco ne esce sconfitto e catturato in prigionia. Nel 1202-1203 trascorse un anno in carcere. Alla liberazione il suo fisico è minato, ma non il suo sogno. Anzi: 

(Passati pochi anni dalla prigionia). Un nobile assisano, desideroso di soldi e di gloria, prese le armi per andare a combattere in Puglia. Venuto a sapere la cosa, Francesco è preso a sua volta dalla sete di avventura. Così, per essere creato cavaliere da un certo conte Gentile, prepara un corredo di panni preziosi; poiché, se era meno ricco di quel concittadino, era però più largo di lui nello spendere. (3Soc 2,5: FF1399).

Siamo nel 1205, Francesco decide di unirsi alla spedizione in Puglia, ma a Spoleto è visitato da un sogno:

 […] mentre stava riposando, nel dormiveglia intese qualcuno che lo interrogava dove voleva andare. Francesco gli espose per intero il suo progetto. E quello: "Chi può esserti più utile: il padrone o il servo?". E avendo lui risposto: "il padrone", quello riprese: "Perché, dunque, abbandoni il padrone per il servo, e il principe per il suddito?". Allora Francesco domandò: Signore cosa vuoi che io faccia? E la voce: "Ritorna nella tua città e ti sarà detto che cosa devi fare" (cfr. 3Soc II, 6:  FF 1401).

Troppo spesso, spendiamo le nostre forze per quello che non soddisfa. Ci affatichiamo per quello che non può soddisfare il cuore, e vivendo così, non troviamo pace. Direbbe Francesco: non sperimentiamo la vera Letizia. Non riusciamo a fare esperienza delle benedizioni che il Signore ci dona.

Consideriamo ora un brano in cui Dio stesso parla ai nostri cuori, per farci riflettere sulle nostre vite: Isaia 55,1-3. 

1 O voi tutti assetati, venite all'acqua
voi che non avete denaro, venite,
comprate e mangiate; venite, comprate
senza denaro, senza pagare, vino e latte.
2 Perché spendete denaro per ciò che non è pane,
il vostro guadagno per ciò che non sazia?
Su, ascoltatemi e mangerete cose buone
e gusterete cibi succulenti.
3 Porgete l'orecchio e venite a me,
ascoltate e vivrete.
Io stabilirò per voi un'alleanza eterna,
i favori assicurati a Davide.

Come Dio ci descrive

Dio parla con coloro che egli chiama “assetati”. È un'immagine ricorrente nella Bibbia. Ad esempio, nel Vangelo secondo Giovanni (7,37), Gesù proclama con forza:

37b  «Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva.

Questa chiamata divina riconosce la profonda sete che risiede nel cuore di ogni individuo, un desiderio che va oltre i confini dei sogni effimeri. Osserviamo che c’è differenza tra sogno e desiderio. Il desiderio, o il desiderare, significa concentrare tutte le energie in direzione di qualcosa di importante in sé e centrale per la propria vita. Desiderio non è, dunque, il cieco impulso o la voglia matta, non è un semplice essere colpiti ed eccitati da ciò che è piacevole qui e ora, ma un aspirare, con tutte le forze, verso qualcosa che vale in se stesso e che l'individuo scopre e vuole al centro della vita e del proprio futuro.

Sempre nel Vangelo di Giovanni (6,35), Gesù rivela di essere il pane della vita, colui che può soddisfare ogni fame e sete spirituale:

35 Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!

Solo in lui, quindi, può essere trovata la vera soddisfazione. Questo concetto viene enfatizzato nel Salmo 36, dove si esalta l'abbondanza dell'amore e della provvidenza divina, il cui torrente di delizie può dissetare l'anima umana.

8 Quanto è prezioso il tuo amore, o Dio!
Si rifugiano gli uomini all'ombra delle tue ali,
9 si saziano dell'abbondanza della tua casa:
tu li disseti al torrente delle tue delizie.
10 È in te la sorgente della vita

Solo Dio può soddisfarci. Perché è così?

L'essenza di questa verità risiede nel fatto che l'uomo è stato creato a immagine di Dio, destinato a vivere in comunione con il suo Creatore. Pertanto, nessuna realtà terrena può appagare appieno il cuore umano, poiché solo Dio può soddisfare completamente i nostri desideri più profondi.

Questo concetto è evidenziato da un Ammonizione di San Francesco, che mette in luce l'importanza dell'umiltà di fronte a Dio e agli uomini. L'umiltà è vista come una virtù preziosa, in grado di sintonizzare l'uomo con la volontà divina e di evitare la trappola dell'orgoglio che porta alla distruzione spirituale.

Beato il servo, che non si ritiene migliore, quando viene lodato ed esaltato dagli uomini, di quando è ritenuto vile, semplice e spregevole, poiché quanto l'uomo vale davanti a Dio, tanto vale e non di più. Guai a quel religioso, che è posto dagli altri in alto e per sua volontà non vuol discendere. E beato quel servo, che non viene posto in alto di sua volontà e sempre desidera mettersi sotto i piedi degli altri (L’umile servo di Dio, Amm XIX: FF 169).

Sembrerebbe che naturalmente cerchiamo soddisfazione altrove piuttosto che unicamente in Dio. Inseguiamo appagamento nelle cose materiali, nell'approvazione degli altri. Persino quando esprimiamo speranza, essa è rivolta esclusivamente a ciò che è tangibile sulla terra. Vivendo in questo modo, i nostri cuori non troveranno mai vera soddisfazione. Continuando su questa strada, la nostra sete non sarà mai placata. Siamo tutti così, alcuni più frequentemente di altri, alcuni di tanto in tanto. Pertanto, è fondamentale ascoltare attentamente ciò che Dio ci sta comunicando in questo passaggio. Sta parlando a noi.

Il comandamento

Dio si rivolge a chi è assetato, e dà un comandamento che è contemporaneamente anche un invito:

1O voi tutti assetati, venite all'acqua
voi che non avete denaro, venite,
comprate e mangiate; venite, comprate
senza denaro, senza pagare, vino e latte (Is 55,1).

Questo comando rivela molto del cuore di Dio. I suoi comandi non sono gravosi. Qui, Dio emana un comando che in realtà è un invito amorevole. Invita coloro che cercano soddisfazioni nel vuoto, ma che rimangono costantemente insoddisfatti, ad avvicinarsi a Lui per trovare vera soddisfazione. Li invita, anzi, li esorta, a recarsi alle acque abbondanti dove tutto ciò che le nostre anime desiderano è disponibile.

Inoltre, notate che ci ordina di comprare e mangiare senza denaro. Possiamo accostarci a Dio e ricevere, anche se non abbiamo nulla con cui pagarlo. Infatti, non abbiamo nulla da offrire e nulla con cui pagare. Non dobbiamo né potremmo farlo. Qual è la nostra condizione di fronte a Dio? In realtà, non possediamo nulla di valore da presentargli. Dobbiamo, anzi, venire umilmente, riconoscendo i nostri peccati.

Quando il testo di Isaia afferma "comprate senza denaro e senza pagare vino e latte", significa che, recandoci da Lui, saremo appagati veramente. Nella Bibbia, il vino e il latte rappresentano ciò che appaga davvero.

Non sprecare, sceglie il vero

2Perché spendete denaro per ciò che non è pane,
il vostro guadagno per ciò che non sazia?
Su, ascoltatemi e mangerete cose buone
e gusterete cibi succulenti.

Si parla di denaro, ma non solo. Il denaro simboleggia il frutto del nostro lavoro, delle nostre fatiche. Ogni sforzo che compiamo per cercare di soddisfare la nostra sete. Spendiamo ogni volta che dedicano tempo a qualcosa. Spendiamo ogni volta che scegliamo una cosa invece di un'altra. Quando desideriamo qualcosa e cerchiamo di ottenerla in qualsiasi modo, sia essa materiale, esperienziale o l'approvazione degli altri, stiamo spendendo.

Esempi di quello che cerchiamo

Molti cercano di soddisfare il proprio cuore cercando l'approvazione degli altri. In realtà, è estremamente costoso cercare l'approvazione altrui. Ma quanto vale davvero? Certamente, può offrire una soddisfazione momentanea, ma non perdura.

È normale cercare soddisfazione nelle cose materiali, ma queste non riescono mai a saziare appieno. Anche quando lo fanno, è una soddisfazione superficiale e fugace. Non appaga mai completamente il cuore. Perciò, se cerchiamo la soddisfazione nel materiale, ci impediamo di trovare la vera soddisfazione.

Ci sono coloro che cercano soddisfazione nell'essere prepotenti, ma anche questo non riesce a saziare il cuore e, peggio ancora, danneggia i veri rapporti.

Un altro modo in cui cerchiamo di appagare il cuore è cercare di venderci bene. Cercando di apparire quello che non siamo. Vivere così, è estremamente faticoso e ci impedisce di riconoscere la nostra dipendenza dagli altri e da Dio.

Queste sono solo alcuni esempi, ma il punto è che, per natura, spendiamo il nostro tempo, le nostre energie e le nostre risorse in molti modi per cercare di soddisfare il nostro cuore, ma sono solo inganni che ci distraggono dalla vera soddisfazione in Dio.

Il cuore di Dio

Dio non vuole che sprechiamo la nostra vita così.

2bSu, ascoltatemi e mangerete cose buone
e gusterete cibi succulenti.
3Porgete l'orecchio e venite a me,
ascoltate e vivrete.
Io stabilirò per voi un'alleanza eterna,
i favori assicurati a Davide.

Il cuore di Dio è straordinario. Abbiamo peccato gravemente contro Dio, eppure, Egli continua a chiamarci ad ascoltarlo affinché siamo riccamente benedetti. Dio desidera riversare su di noi le sue benedizioni. Dio ama salvare, Dio ama benedire. Gesù Cristo dichiara una cosa simile in Giovanni 10,10.

10 Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; ma io sono venuto affinché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.

Cercate l'Eterno

6Cercate il Signore, mentre si fa trovare,
invocatelo, mentre è vicino.
7L'empio abbandoni la sua via
e l'uomo iniquo i suoi pensieri;
ritorni al Signore che avrà misericordia di lui
e al nostro Dio che largamente perdona.

Adesso, in questi versetti, Dio ci esorta a cercarlo, che vuol dire cercarlo con tutto il nostro cuore. Più volte Dio ci esorta a cercarlo con tutto il nostro cuore. Ci esorta ad invocarLo, che vuol dire guardare a Dio, anziché a tutto quello in cui prima abbiamo cercato la soddisfazione.

  • 18 Febbraio

    Il richiamo alla conversione

    Cercate il Signore mentre si fa trovare (1Cor 13,5).

  • 25 Febbraio

    La ricerca della volontà di Dio I

    Cerca la gioia nel Signore: esaudirà i desideri del tuo cuore (Sal 37, 4).

  • 3 Marzo

    La ricerca della volontà di Dio II

    Mi lascerò trovare da voi (Ger 29,1-23).

  • 10 Marzo

    La risposta alla chiamata alla santità

    Ciò che chiede il Signore (Mi 6,8).

  • 17 Marzo

    Le stimmate di San Francesco e il mistero della croce

    Portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo (2Cor 4,10).

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